La musica per lei è amore puro, vibrazione che crea. Ama da sempre Schumann, ma in Beethoven ha trovato nuova forza e coraggio. Vive pienamente non solo dentro un brano, ma anche nel mondo, attenta da sempre ai bambini e ai ragazzi meno fortunati a cui regala le note del suo pianoforte in un gesto di umana condivisione. Lei è la pianista Gloria Campaner, che incanta non solo sotto i riflettori dei palcoscenici più importanti di tutto il mondo, dalla Carnegie Hall di New York alla Salle Cortot di Parigi, passando per il Giappone, la Cina, il Sudamerica e importanti realtà italiane, ma anche per la sua straordinaria umanità. Aspetto non meno importante è l’attività didattica, che la vede impegnata con il suo workshop “C# / See Sharp” dedicato a giovani talenti delle arti dello spettacolo, dove utilizza tecniche di yoga (lo pratica da molti anni, recandosi anche in India), di meditazione e respirazione per aiutarli a dominare lo stress e l’ansia da palcoscenico e a rilassare la muscolatura dopo ore di pratica e studio allo strumento. Nel 2018 è uscito anche il suo nuovo album, “Home”, per Warner Music Italy. Si tratta di una registrazione dedicata interamente a Robert Schumann che contiene sia le Kinderszenen (Scene infantili), op. 15, sia il Concerto in La minore per pianoforte e orchestra, op. 54 con l’Orchestra Filarmonica della Fenice diretta da John Axelrod.
Dopo averla ascoltata nel recital svoltosi nella cornice della Chiesa di S. Gottardo ad Asolo, in occasione del quarantaduesimo cartellone del festival internazionale di musica da camera “Incontri Asolani” organizzato da Asolo Musica, che vede Federico Pupo alla direzione artistica, ho avuto modo intervistare colei che nel 2009 è stata nominata Ambasciatore Europeo della Cultura (2010-2011).
Il compositore preferito?
È Robert Schumann al quale ho dedicato la mia tesi di laurea, gran parte dei miei dischi tra cui l’ultimo intitolato “Home”, perché è stato registrato a Venezia nel teatro che ho seguito da bambina, con l’orchestra che ho sempre ascoltato crescendo, nei luoghi proprio della mia infanzia quando all’epoca studiavo le “Scene infantili” (Kinderszenen, op. 15). Quando ho riaperto questo spartito mi sono ricordata i momenti dell’infanzia, quindi guardando quei brani che sono “non solo” per bambini, ma dedicati ai bambini, ho fatto un flashback pazzesco vicino alla mia terra e poi ho scelto e suonato con l’Orchestra della Fenice l’unico concerto per pianoforte e orchestra scritto da Robert Schumann che è un inno d’amore totalmente dedicato a Clara Schumann, in cui si sente proprio criptograficamente il suo nome tra le note. Ho sempre preferito Schumann perché è un grande compositore visionario, romantico e io mi sento vicino alla musica romantica e tardo romantica. Ultimamente, invece, di pari passo mi dà tanta forza e coraggio – anche in un momento grave come abbiamo attraversato quest’anno – la musica di Beethoven che è così pura, così estremamente forte e travolgente che custodisce una verità assoluta.
Nata a Jesolo (Venezia), classe 1986, Gloria Campaner a soli 5 anni ottiene la prima di oltre venti vittorie in concorsi pianistici nazionali ed internazionali, tra cui l’International Ibla Grand Prize 2009, la Medaglia d’Argento al II Concorso Internazionale Paderewski di Los Angeles e una “Fellowship” del Borletti Buitoni Trust 2014, prima pianista italiana a ottenere questo riconoscimento. Quando ha iniziato a suonare?
A 3 anni, al tempo dell’asilo, ma un po’ per caso e un po’ per gioco, perché nella mia famiglia non ci sono dei musicisti.
Sapeva già che sarebbe diventata concertista?
No, non lo sapevo e non lo so tuttora. Non ho mai pensato di saperlo. So che una vita non basta per fare veramente bene una sola cosa e a questo punto, allora, mi sono detta: “ne voglio fare tante”. Così sperimento un sacco di cose, viaggio, vedo, guardo, vivo più che posso, perché mi sembra che così vada tutto dentro ad una ricchezza musicale che si accresce. Credo infatti che il fine ultimo dell’artista sia avere qualcosa da dire, un messaggio che accorci le distanze.
In tema di esperienze come non citare i progetti umanitari che l’hanno vista portare la musica classica ai bambini e ai ragazzi meno fortunati: nella Favela Rocinha di Rio de Janeiro, la più grande del Brasile; in Myanmar, dove ha anche suonato il primo concerto di musica classica nella storia della nazione dopo la dittatura; nelle townships di Città del Capo in Sud Africa; al Genote centre of research di Salt Lake City (Usa) nell’Auditorium della Utah Schools for the Deaf and Blind, per i bambini sordi e non vedenti; ha suonato persino sull’Isola di Pasqua, dove ha inaugurato il primo centro culturale/musicale nella storia dell’isola. Perché lo fa?
Suono regolarmente per i bambini che sono in difficoltà nel mondo. Penso che sia importante dare del nutrimento anche a chi non ne avrà mai occasione. Ovviamente non è che la musica sfami chi sta morendo di fame, però può nutrire le anime in modo incredibile.
Il gesto, la parola, un ricordo che più l’ha colpita.
Tutto. Il bambino prima che cresca e che si disilluda, che diventi vittima di una vita difficile e di uno scenario complicato, ha un animo fresco, vero, sincero, ed è curiosissimo. Ho incontrato bambini che non avevano neanche mai visto un pianoforte eppure la musica ha un messaggio universale che ci ha permesso di comunicare.

Oltre all’attività concertistica e ai progetti umanitari, da anni si dedica anche all’insegnamento, ad esempio ha ottenuto una cattedra di pianoforte alla Nelson Mandela University di Port Elizabeth in Sudafrica. Ci parli un po’ anche di questo aspetto.
A me piace molto il Sudafrica quindi ho accettato molto volentieri di andare, una volta all’anno, a fare un modulo, cioè i ragazzi fanno un gruppo di lezioni con me e poi un esame. Mi sono inventata anche un corso di creatività musicale. Quando vado ad insegnare nelle varie Università cerco di diffondere soprattutto questo, la creatività, perché ho capito con la mia vita quanto sia difficile riuscire a trasmettere il messaggio che la cura dell’emotività, delle emozioni, delle paure è qualcosa che deve andare di pari passo allo studio di uno strumento. Non si può pensare di prepararsi solo tecnicamente senza preparare l’animo e senza saper gestire l’enorme stress psicofisico, perché alla fine noi siamo un organismo biopsichico. Quindi voglio aiutare i ragazzi in questo, perché non sempre lo stesso docente che ti insegna la tecnica, ti spiega anche come puoi stare da solo sul palco durante un concerto o in quei momenti in cui sei da solo davanti a tutti: arrivano la paura l’ansia il panico. È qualcosa di veramente pericoloso che può far smettere anche di suonare, per questo ho inventato il laboratorio di creatività intitolato “C# / See Sharp” che significa “guarda oltre, metti a fuoco”, come se fosse un modo di illuminarsi e di aprire un po’ di più la finestra.
Com’è la sua vita da concertista, cosa le ha insegnato la musica e il messaggio che vuole trasmettere a chi l’ascolta.
La musica ogni giorno mi insegna qualcosa. Tantissimo. Alla fine, il suono è vibrazione, è aria che vibra e che vive per chi la suona e soprattutto per chi l’ascolta. Quello che mi ha insegnato è il linguaggio della condivisione che non esisterebbe se non ci fossero anche tutte queste persone. Il mio lavoro è una fusione con chi mi ascolta, perché sento questa vibrazione. Il suono è vibrazione quindi è creazione; in un qualche senso la forza creativa è amore puro, l’amore più elevato che c’è, quello della creazione, che dà la vita, per cui la musica in fondo è amore.
Ultima curiosità: quante ore al giorno si esercita?
Tante, più di 8, più di 9, non tutti i giorni ma quasi tutti i giorni. Ci vuole tantissimo lavoro, tantissimo impegno, dedizione, disciplina, rigore. Dopo si può essere creativi, si può respirare un gesto, vivere dentro un brano e dentro la bolla di questi suoni, ma ognuno di questi suoni ha bisogno di molta tensione per essere creato. Comunque, è molto difficile e ci vuole tanto lavoro.
Consigli di ascolto:
Home – Schumann: Piano Concerto & Kinderszenen
Crediti: immagine di copertina © Walter Garosi
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